Cefalea: se la colpa fosse dei denti?

Cause e meccanismi

La teoria maggiormente condivisa dai ricercatori è quella neurovascolare, secondo la quale il paziente emicranico presenta una risposta eccessiva e inadeguata da parte dei neuroni della corteccia cerebrale al variare di stimoli provenienti dall’ambiente esterno (temperatura, umidità, luci, suoni, odori…) o dell’ambiente interno (tasso glicemico, fluttuazioni ormonali, pressione arteriosa, secrezione di adrenalina, ritmo sonno-veglia, etc.). Stimoli esterni che sono assolutamente “normali” per i soggetti non sofferenti di emicrania.

Questa vulnerabilità, associata ad un anomalo funzionamento dei centri nervosi del tronco cerebrale deputati alla modulazione del dolore, porterebbe ad una dilatazione dolorosa dei vasi delle meningi.

Spetta al nervo trigemino – nervo sensitivo delle strutture del cranio – il ruolo di mediatore tra la suscettibilità dei neuroni corticali e la vasodilatazione: si parla perciò di sistema trigemino-vascolare (Lampada scialitica).

Questione di genetica

Spesso i pazienti emicranici hanno parenti emicranici, si suppone pertanto che l’anomala modalità di risposta che caratterizza l’emicrania sia trasmessa geneticamente.

La diagnosi si basa essenzialmente sull’anamnesi e sull’esame obiettivo che devono essere particolarmente curati ed approfonditi. Alcuni esami specifici possono aiutare a dirimere i casi dubbi.

Tra le cefalee secondarie, cioè quelle in cui invece il dolore è sintomo di una patologia in atto, troviamo frequentemente quelle attribuite a disturbi dei denti, delle arcate dentarie o delle strutture correlate e le cefalee o dolori facciali attribuiti a disturbi dell’articolazione temporomandibolare.

La frequenza degli attacchi è molto variabile. Nella quasi totalità dei casi il paziente è in grado di identificare alcuni fattori scatenanti quali ad esempio quelli meteorologici (vento) o l’assunzione di alcuni cibi (alcolici, cioccolato, formaggi stagionati…) o eventi stressanti. L’emicrania è dunque un disturbo primario: vera e propria patologia e non semplice sintomo.

E i denti?

Si tratta per lo più di dolore molto ben localizzato che può però irradiarsi coinvolgendo tutto il capo. In genere è continuo e non si accompagna a sintomi neurovegetativi quali nausea, vomito, foto e fonofobia.

Per quanto riguarda le disfunzioni dell’articolazione temporomandibolare (atm), possono accompagnarsi a dolore miofasciale cioè un dolore muscolare continuo, associato a contrattura, limitazione funzionale ed occasionalmente a sintomatologia di tipo nevralgico con alterazioni della sensibilità cutanea o formicolii e cefalea diffusa.

In particolare, il coinvolgimento dell’articolazione è da sospettare quando il dolore è scatenato da movimenti masticatori soprattutto in presenza di cibo duro, dalle limitazioni o difetti dell’apertura della bocca, da rumori a carico delle atm durante i movimenti della mandibola e dalla dolorabilità, alla pressione, della capsula articolare di una o entrambe le atm.

La prevalenza di disturbi a carico dell’atm tra i pazienti cefalalgici è stimata intorno al 56% e sembra possano essere causa di cefalea cronica nel 20% dei casi.

Quali terapie?

Le possibili terapie delle diverse forme di cefalee sia primarie che secondarie sono naturalmente molto diverse, accomunate unicamente dal ricorso, che deve essere limitato nel tempo, ad antinfiammatori ed antidolorifici.

Per quanto riguarda l’emicrania esistono delle linee guida che prevedono un approccio differente a seconda della frequenza delle crisi.

Convenzionalmente, infatti, se gli attacchi non superano i tre giorni al mese si può ricorrere ad un farmaco da assumere al bisogno. È utile sapere che un abuso di farmaci sintomatici comporta un elevato rischio di cronicizzare l’emicrania.

Nel caso in cui gli attacchi si presentino con maggiore frequenza è necessario impostare una terapia preventiva utilizzando strategie sia di tipo farmacologico attingendo a diverse classi di farmaci, che non farmacologico, come l’agopuntura.

Ovviamente è importante eliminare, per quanto possibile, i fattori scatenanti. Nel caso di cefalee secondarie dovute a fattori di malocclusione o riconducibili a problematiche odontostomatologiche, la terapia è rivolta alla rimozione di tali disturbi. In particolare nei pazienti più giovani dove è più agevole la correzione definitiva, ricordando che la malocclusione è considerata un fattore di rischio per l’insorgenza di cefalea nei bambini e negli adolescenti.

È infine necessario tenere conto, data l’alta frequenza di riscontro nella popolazione sia di emicrania che di patologie odontostomatologiche, della possibile coesistenza nello stesso paziente di entrambe le condizioni (strumenti dentista).

Saliva: chi ci protegge dalla carie?

L’importanza della saliva

In generale la secrezione salivare ha assunto importanza in campo medico in quanto, in alcune situazioni patologiche costituisce una fonte potenziale di importanti informazioni biochimiche ed è un campione biologico facilmente ottenibile senza alcuna manovra invasiva.


In campo odontostomatologico la saliva riveste importanza sotto molteplici aspetti, essendo uno degli elementi principali dell’ambiente orale… ciò nonostante spesso il suo ruolo non viene adeguatamente considerato, anche da coloro che ne vengono a diretto contatto ogni giorno.
Interessanti sono le relazioni esistenti tra saliva ed alcune malattie odontoiatriche. Sono ormai diversi anni che vengono effettuati studi sui possibili rapporti intercorrenti tra la saliva e la patologia cariosa, ma solamente nell’ultimo decennio si è assistito ad un incremento delle ricerche in questo ambito.
Le proprietà fisico-chimiche e biologiche più rilevanti a questo scopo sono il flusso salivare, il potere tampone, la concentrazione batterica di specifici ceppi ed il confronto fra i valori ottenuti in soggetti cariosensibili e carioresistenti.

Flusso salivare: cos’è?

Da cosa ha origine il flusso salivare? Per il 90% deriva dalla funzione delle ghiandole parotidi e sottomandibolari, per il 5% delle sottolinguali ed il restante 5% delle ghiandole salivari minori. Il controllo delle ghiandole salivari avviene ad opera di un centro nervoso situato in corrispondenza del bulbo encefalico.
Lo stimolo alla secrezione é prodotto principalmente da un’eccitazione riflessa e involontaria, gustativa attraverso le papille linguali e masticatoria attraverso i recettori specifici presenti nel legamento parodontale e nei muscoli masticatori.
In condizioni di riposo, ovvero in assenza di stimolazioni gustative, viene secreta sempre una certa quantità di saliva. Questo flusso che potremmo definire “base”, viene influenzato da vari fattori con notevole variabilità individuale e presenta una maggiore fluidità, allo scopo di mantenere un ambiente umido e contrastare l’azione degli agenti irritanti.
La saliva di stimolazione viene invece secreta sotto stimoli involontari indotti dal senso della fame e durante l’atto della masticazione; questa presenta una densità più elevata. La saliva secreta a riposo mostra modificazioni notevoli nell’entità del flusso, si osserva un incremento della secrezione nelle ore pomeridiane ed una diminuzione nelle ore notturne.
La bassa secrezione notturna evita frequenti movimenti di deglutizione durante il sonno. Vengono tuttavia ridotte anche le difese salivari, ovvero il potere detergente e la capacità di tamponare l’ambiente acido che inevitabilmente viene a crearsi, con graduale abbassamento del pH orale… ecco da dove possono insorgere i processi cariosi (Manipoli odontoiatrici).

A bocca asciutta

Il flusso salivare svolge un ruolo importante nel rimuovere i detriti alimentari, i residui batterici e le cellule epiteliali che favoriscono la moltiplicazione batterica, attuandone l’eliminazione attraverso il canale digerente.
È scientificamente accertato che riduzioni nella secrezione salivare hanno un evidente effetto sia sul numero sia sulla gravità delle carie: ciò è confermato anche nei casi di iposecrezione salivare dovuta a xerostomia o a radioterapia per neoplasia ghiandolari o del massiccio facciale.
Il flusso salivare tende inoltre a diminuire con l’età. Tra gli anziani sono più frequenti i sintomi di secchezza della bocca e del resto sono tipiche dell’età avanzata alcune malattie che possono portare ad una diminuzione del flusso salivare, come il morbo di Alzheimer.
Una maggiore frequenza di carie sembra verificarsi nei soggetti che presentano condizioni di ansia o in terapia antidepressiva che conducono ad un coinvolgimento del sistema simpatico, con conseguente riduzione del flusso salivare. Ricordiamo poi la grave xerostomia che colpisce gli affetti da sindrome di Sjogren, che per tale ragione sono individui altamente a rischio.

La flora batterica orale

Nell’ambito della saliva si possono riscontrare un grande numero di specie batteriche, presenti in uno stato di equilibrio. Quando tale equilibrio viene per cause diverse ad essere alterato si può assistere alla insorgenza di patologie.
Riguardo alla patologia cariosa le specie batteriche coinvolte sono un grande numero, la loro presenza varia anche in rapporto al sito anatomico: ricordiamo ad esempio lo Streptococcus Salivarius nella carie del terzo cervicale del dente.
Le due specie più importanti sono lo Streptococcus mutans e i Lactobacilli, in grado di produrre consistenti quantitativi di acidi. Quando in presenza di un substrato metabolico l’azione acidogena é potenziata, la saliva e i suoi meccanismi di controllo non riescono più a compensarne la produzione.
L’ambiente orale raggiunge quindi livelli di acidità critici, che inducono la demineralizzazione dei tessuti duri del dente. Hanno pertanto inizio quei processi, che, se non precocemente intercettati o prevenuti, portando allo sviluppo della carie (Prodotti odontoiatrici).